Vicenza, 21 set 2008 - Progetto Ederle 2. A confronto i motivi che hanno spinto a questa scelta e le ragioni per dirgli no. Quale è il limite tra alleanza e vassallaggio?
A Vicenza si sta lottando in difesa delle libertà di scelta e autodeterminazione di una città. Il prossimo 5 ottobre i cittadini saranno chiamati ad esprimere, tramite un referendum consultivo indetto dal comune capitanato da Achille Variati, già giovane sindaco della città berica negli anni Novanta e vicino al PD, la loro adesione o meno al progetto “Ederle 2”, che vuole il raddoppio della base americana locale. Vicenza e le zone limitrofe ospitano diversi siti militari americani: oltre alla caserma Ederle, il Site Pluto a Longare, la base al Tormeno, i magazzini a Torri di Quartesolo e la housing area a Vicenza Est. Intenzione del Pentagono è quella di trasformare la città nella base logistica più importante dell'esercito statunitense in Europa, a diretta portata - è il pensiero di molti - delle future possibili guerre interne allo scenario mediorientale.
Il punto di allargamento degli esistenti impianti è stato individuato a nord del capoluogo veneto, nei pressi dell'aeroporto Dal Molin: il progetto prevede 600mila metri cubi di nuove costruzioni militari, situate al centro di una città patrimonio dell'Unesco. Col placet dei governi di Romano Prodi e di Silvio Berlusconi e col laissez-faire della scorsa amministrazione comunale vicentina i passi verso “Ederle 2” sono stati fatti nonostante il disagio dei cittadini. Poi, qualcosa è cambiato: nato il gruppo “No Dal Molin”, si sono diffuse informazione e protesta; sono state organizzate manifestazioni, festival e occupazioni di dissenso, le ultime delle quali represse con violenza in un disegno allarmante che unisce oggi Chiaiano (NA) al cuore del Nordest. Il sindaco Variati, in carica da sei mesi, ha impugnato la vicenda e promosso un referendum consultivo: il ricorso al Tar del Veneto voluto dagli oppositori al referendum (il comitato "Sì Dal Molin", che ora punta al Consiglio di Stato) ha dato ragione al primo cittadino e a tutto il movimento d'opposizione. A pronunciarsi saranno per la prima volta gli abitanti di Vicenza: occorrono 35.000 votanti per raggiungere il quorum e non è ancora chiaro se i numeri necessari si raggiungeranno. Il referendum vorrebbe avvallare l'acquisto, da parte del comune, dell'area interessata al progetto USA. Intanto, Paolo Costa, commissario straordinario per il Dal Molin (voluto da Prodi e riconfermato da Berlusconi), si esprime così dalle pagine del Giornale di Vicenza: «L’area è già stata destinata a un uso demaniale nel momento in cui è stata messa a disposizione degli americani e quindi non può essere ceduta». E ancora: «Questo referendum è intrinsecamente antidemocratico perché teso a rendere inefficiente la nostra democrazia opponendosi alle istituzioni nazionali, le sole titolate a decidere in materia di politica estera e di difesa per conto dell’intera comunità. Non è un problema di democrazia diretta o di democrazia rappresentativa, è che in materia di politica estera e di difesa il “potere del popolo” si esercita solo attraverso il livello di governo nazionale. Per questo il referendum voluto dal sindaco Variati è un esercizio antidemocratico, poiché cerca di prevaricare l’interesse nazionale in nome di un interesse locale non costituzionalmente tutelato. A Vicenza sembrano non voler capire e vanno avanti dicendo chissenefrega. Ma credo che siano molti i vicentini in grado di capire e distinguere». Quello che, personalmente, capisco è che Vicenza deve accettare passivamente una decisione totalmente imposta e senza beneficio alcuno per la sua crescita. Qual'è l'attuale urgenza di politica estera che spinge a calpestare il volere e il sentire di tantissimi cittadini? Non esiste urgenza.
Perché allora dire “no” all'allargamento “Ederle 2”?
Perché ogni città è sovrana e responsabile del suo territorio e dovrebbe poterne decidere le sorti senza pressioni calate dall'alto. Perché l'industria bellica americana non dovrebbe dettar legge in altri Paesi e perché i suoi intenti sul fronte mediorientale preoccupano il mondo civile ed evidentemente preoccupano buona parte di Vicenza, che già ha visto le sue basi sfruttate per la guerra nei Balcani e, forse, teme d'assistere a copioni peggiori in caso di attacchi alla Siria o all'Iran, eventualità che recentemente il giornalista Massimo Fini ha dato a suo avviso per probabili. Ma non vi sono solamente ragioni ideologiche, o d'opinione. Il cattivo funzionamento delle basi USA impatta l'ambiente in maniera notevolmente negativa e porta Vicenza a sobbarcarsi enormi costi di mera sudditanza.
Questi dati si riportano sul sito ufficiale del movimento “No Dal Molin” e nella relativa pagina Facebook in merito ai progetti per "Ederle 2".
Elettricità: l’allacciamento della corrente elettrica costerebbe 9.360.000 euro, di cui poco più di un quindicesimo pagato dagli statunitensi, tutto il resto (8.730.000 euro) dall’AIM, ovvero dai vicentini. Inoltre, le basi USA acquistano l’energia elettrica in esenzione di tasse e con tariffe agevolate.
Fognature: l’allacciamento alla rete fognaria costerebbe ancora di più e sarebbe interamente a carico di AIM, cioè dei vicentini. In aggiunta, i costi per l’utilizzo del depuratore (oltre 500.000 euro annui) se li aggiudicherebbero i vicentini, di nuovo. Acqua: la nuova base USA ha chiesto da un minimo di 60 ad un massimo di 260 litri/secondo. AIM oggi può servire 7 litri/secondo e con una nuova linea potrebbe arrivare a 30. La quantità d’acqua richiesta è troppo onerosa per la nostra falda acquifera. Senza contare che i costi, circa 350.000 euro, sarebbero sostenuti dai vicentini tramite AIM.
Gas: lo fornirebbero AIM-AMCPS, usando le tasse dei vicentini.
Telefonia: lo stesso.
Immondizie: allo smaltimento di rifiuti e immondizie provvederebbe ancora AIM.
Strade: alla manutenzione delle strade penserebbe invece AMCPS (vicentini paganti, ancora).
Spese di gestione: il 41% dei costi di gestione delle basi Usa sono a carico del Paese che le ospita. Solo per la Ederle l’Italia paga già 65 milioni di euro annui.
Consumi, spese e bollette: ma possibile che non ci guadagniamo nemmeno un euro? Gli statunitensi non portavano “schei”? Sì un po’ di soldi ne portano, anche se nulla in confronto a quelli che fanno spendere. Ma il problema principale è: dove vanno a finire questi dollari?
Affari: generalmente intorno alle basi USA, autosufficienti in tutto, non fioriscono attività commerciali.
Posti di lavoro: oggi circa 700 cittadini vicentini lavorano direttamente per gli statunitensi, con stipendi per 23 milioni di euro annui. Ma se i 65 milioni di euro/anno da noi spesi per mantenere la Ederle venissero investiti in Sanità, Protezione Civile, Scuola e altri servizi per la cittadinanza si creerebbero oltre 2000 posti di lavoro.
Investimenti: dei 475 milioni di euro definitivamente destinati dal Congresso Americano ad opere edili (tra cui costruzione della nuova base militare ed alloggi per le famiglie dei soldati, ristrutturazione Ederle e Site Pluto) solo 45 milioni li guadagnerebbero ditte vicentine, mentre il grosso del bottino, ben 430 milioni di euro, andrebbe a C.m.c. e Lega delle Cooperative, altre ditte non venete e ditte straniere.
Spese annuali sul territorio: attualmente, le entrate che la città registra grazie all’utilizzo di infrastrutture, beni e servizi e agli affitti statunitensi sono pari a 127 milioni di euro. Dopo la realizzazione di nuovi villaggi, strutture ricreative ed altri aggiustamenti tecnici previsti, le spese statunitensi sul territorio si ridurrebbero da 127 a 50 milioni di euro/anno. Le 13.400 aziende che operano a Vicenza fatturano 7.000 milioni di euro/anno. Questi 50 milioni rappresenterebbero lo 0,7% dell’economia vicentina.
Inquinamento: secondo l’EPA (l’agenzia per la protezione dell’ambiente incaricata dal Congresso statunitense di potenziare e far rispettare le leggi in materia) le basi militari rappresentano il maggior inquinatore degli Stati Uniti, producono rifiuti dal gravissimo impatto sull’ambiente e sulla salute dei cittadini (si pensi ai periclorati e al TCE). Gli ordini imposti dell’EPA sono stati in passato disattesi dal Pentagono che si è rifiutato di bonificare basi e firmare accordi previsti per legge.
Falda acquifera: data la scarsa consistenza del terreno su cui si è scelto di costruire l’insediamento militare, risulterebbe necessario piantare migliaia di pali di consolidamento fino ad una profondità di venti metri. Questi, uniti al previsto tunnel della “tangenziale nord” che passerebbe sotto alla base militare (a circa 40 metri di profondità), creerebbero una barriera allo scorrimento dell’acqua che costituisce la preziosa falda acquifera che serve le zone di Vicenza, Padova e Rovigo. A nord della barriera la falda crescerebbe mentre a sud subirebbe un abbassamento.
Abitazioni e capannoni industriali: queste modificazioni della falda e del terreno porterebbero le costruzioni ad abbassarsi da un lato e ad alzarsi dall’altro. Pochi millimetri possono essere sufficienti a provocare danni ingenti ad ogni tipo d’edificio. Impunità: come insegna il Cermis, i reati commessi da soldati statunitensi, anche all’esterno delle basi, non sono soggetti alla giurisdizione italiana.
Sofferenza psichica: i casi di disagio sociale e mentale non si contano tra i reduci di guerra. Vicenza ha conosciuto prima di altre città la diffusione di droghe pesanti, proprio grazie ai reduci del Vietnam.
Chiedo: qual'è il limite fra alleanza e vassallaggio?
di Alessio Masahiko
venerdì 26 settembre 2008
Progetto Ederle 2: perché raddoppia la base USA?
Etichette:
No Dal Molin
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento