mercoledì 29 ottobre 2008

Scuola, proteste in tutta Italia


Roma, 29 ott 2008 - Domani sciopero generale e manifestazione. In tutto il Paese gli studenti scenderanno in piazza contro il decreto Gelmini. Nella Capitale la mobilitazione è organizzata dai sindacati.

Roma - Nel giorno in cui il governo approva il decreto Gelimini e piazza Navona a Roma è teatro di scontri tra studenti di destra e di sinistra, nel resto d'Italia si moltiplicano le mobilitazioni. In attesa dello sciopero nazionale di domani e della manifestazione nazionale organizzata a Roma dai sindacati.

Proteste in tutta Italia.
A Milano gli studenti hanno dato vita ad una mobilitazione "selvaggia": sei ore di cortei non autorizzati e picchetti. Una serie di manifestazioni che ha provocato un piccolo tafferuglio con le forze dell'ordine in piazza Meda e bloccato la stazione ferroviaria di Lambrate per una ventina di minuti. Un migliaio di studenti, inoltre, ha affollato l'aula Magna della Statale per assistere all'intervento del premio Nobel Dario Fo sulla "Rappresentazione dell'immaginario".

Attività didattica sospesa per l'intera giornata all'Università di Macerata. Mentre a Vicenza sotto il colonnato palladiano di piazza dei Signori migliaia di manifestanti si sono dati appuntamento per ribadire l'ennesimo no ai decreti. La veglia di protesta proseguirà fino a notte fonda. A Napoli migliaia di studenti si sono riuniti in piazza del Plebiscito, mentre un corteo di universitari ha attraversato il centro.

A Firenze, corteo e blocchi stradali. Una manifestazione spontanea di un migliaio di studenti medi e universitari ha attraversato i viali di circonvallazione. Il corteo si è diretto in centro dove era in corso una 'biciclettata' di protesta degli studenti di Lettere, che hanno raggiunto piazza Santissima Annunziata per una lezione all'aperto.

A Bologna oltre cinquemila tra alunni, insegnanti, genitori, studenti medi ed universitari hanno manifestato per le vie del centro storico. I manifestanti si sono ritrovati in piazza Maggiore e con centinaia di ceri hanno composto una scritta sul "Crescentone". "Fermatevi".

A Torino alcuni studenti sono andati davanti ai cancelli della Fiat Mirafiori per distribuire volantini agli operai e incontrare i loro rappresentanti sindacali. Infine la facoltà di Sociologia dell'Università di Trento è stata occupata dagli studenti a partire dalla nottata.

Domani lo sciopero nazionale.
Secondo i numeri forniti dalla Cgil, nove treni speciali e quasi mille pullman si muoveranno per lo sciopero generale della scuola. Anche gli studenti sono pronti a mobilitarsi: secondo l'unione degli studenti oltre 100 pullman e treni di studenti arriveranno a Roma.

Il concentramento è previsto alle ore 9 in piazza della Repubblica. Il corteo giungerà in piazza del Popolo dove per la Cgil parlerà il segretario generale, Guglielmo Epifani. Anche il segretario generale della CISL, Raffaele Bonanni, parteciperà alla manifestazione

Oltre al corteo che partirà da Piazza della Repubblica, domani a Roma un ulteriore manifestazione partirà dall'Università La Sapienza. Alle nove dalla città universitaria un corteo di studenti si muoverà per raggiungere i dimostranti che aderiscono alla manifestazione indetta dai sindacati.


Tratto da:
Scuola, proteste in tutta Italia. Domani sciopero e manifestazione
La Repubblica, 29 ott 2008


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mercoledì 22 ottobre 2008

Acqua in bocca, vi abbiamo venduto l’acqua


Mentre nel paese imperversano annose discussioni sul grembiulino a scuola, sul guinzaglio per il cane e sul flagello dei graffiti, il governo Berlusconi senza dire niente a nessuno ha dato il via alla privatizzazione dell'acqua pubblica.

Il Parlamento ha votato l'articolo 23bis del decreto legge 112 del ministro Tremonti che afferma che la gestione dei servizi idrici deve essere sottomessa alle regole dell'economia capitalistica.

Così il governo Berlusconi ha sancito che in Italia l'acqua non sarà più un bene pubblico, ma una merce e, dunque, sarà gestita da multinazionali internazionali (le stesse che già possiedono le acque minerali). Già a Latina la Veolia (multinazionale che gestisce l'acqua locale) ha deciso di aumentare le bollette del 300% Ai consumatori che protestano, Veolia manda le sue squadre di vigilantes armatati e carabinieri per staccare i contatori.

La privatizzazione dell'acqua che sta avvenendo a livello mondiale provocherà, nei prossimi anni, milioni di morti per sete nei paesi più poveri. L'acqua è sacra in ogni paese, cultura e fede del mondo: l'uomo è fatto per il 65% di acqua, ed è questo che il governo italiano sta mettendo in vendita.

L´acqua che sgorga dalla terra non è una merce, è un diritto fondamentale umano e nessuno può appropriarsene per trarne illecito profitto.
L´acqua è l'oro bianco per cui si combatteranno le prossime guerre.
Guerre che saranno dirette dalle multinazionali alle quali oggi il governo, preoccupato per i grembiulini, sta vendendo il 65% del nostro corpo.
Acqua in bocca.


Tratto da:
Acqua in bocca, vi abbiamo venduto l’acqua di Rosaria Ruffini
su liberacittadinanza, 16 Ottobre 2008



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Milano, la protesta contro il decreto Gelmini, i manganelli


Milano, 21 ott 2008 - Erano in 2000 stamani ad affollare l'aula magna della Statale per protestare contro la "legge Gelmini". Sudenti, lavoratori e alcuni fra docenti e ricercatori. Al termine degli interventi di quelli che gli organizzatori avevano battezzato "Stati Generali", in via Festa del Perdono si è formato un corteo spontaneo e non autorizzato.

L'idea era quella di portare la protesta fino in Prefettura dove era convocato il vertice sulla sicurezza alla presenza del ministro Roberto Maroni. Ma giunti in piazza del Duomo, dopo qualche tensione con la polizia, il corteo ha attraversato la Galleria per raggiungere piazza della Scala e Palazzo Marino. Poi il serpentone degli studenti è tornato in Duomo deciso ha proseguire fino a piazzale Cadorna per bloccare i binari della stazione.

Ancora momenti di tensione e il primo sfondamento dei cordoni della polizia. Raggiunta Cadorna gli studenti hanno tentato di sfondare un nuovo cordone di agenti in assetto antisommossa, ma sono stati respinti con fumogeni e manganelli. In pochi minuti la situazione si è normalizzata, ma i manifestanti mantengono il presidio al grido "Libertà, Libertà"

La giornata si era aperta con gli "Stati Generali" all’università Statale. «Oggi è il giorno decisivo di questa protesta». Alla Statale lo ripetono studenti, ricercatori e lavoratori, per la prima volta insieme in assemblea. In via Festa del Perdono l'aula magna è gremita: 2000 persone secondo gli organizzatori. fra studenti, personale tecnico e amministrativo ma anche ricercatori e docenti. Obiettivo della mobilitazione è confermare l'agitazione fino all'abrogazione della nuova legge.

E dopo gli "stati generali" un corteo spontaneo di studenti e lavoratori ha raggiunto piazza del Duomo per poi dirigersi verso la Prefettura. Gli studenti dei collettivi al grido "la Gelmini non la vogliamo" sono in marcia dietro lo striscione "contro la legge 133 occupiamo l'università. La vostra crisi non la pagheremo noi".

Gli "stati generali erano l'occasione «per discutere delle forme di lotta da adottare contro i tagli previsti dal governo», spiega Francesco Pagnotta “Tutte le componenti dell´università decideranno come contrastare insieme un decreto che uccide gli atenei. Dopo la riunione avremo una forza che non abbiamo mai avuto”. A convocare l´assemblea sono stati i rappresentanti sindacali che lanceranno una manifestazione per il 30, giorno di sciopero della scuola, e inviteranno a incrociare le braccia il 14 novembre, quando a fermarsi sarà l´università.

Gli studenti proporranno ai lavoratori le loro forme di protesta: «Occupazioni lampo e iniziative imprevedibili, come blocchi del traffico e lezioni all´aperto», annuncia Luca Minghinelli del collettivo di Scienze politiche. Il collettivo Asso leggerà una "controriforma dell´università" elaborata dagli studenti.

All´assemblea ci sono anche gli studenti di Sinistra universitaria. Per Dino Motti, iscritto a Medicina e rappresentante in senato accademico eletto in quella lista, «gli stati generali sono il primo momento di democrazia in una protesta che in Statale è stata finora monopolizzata dai collettivi. Da oggi il movimento si allarga a tutti gli studenti».

Sinistra universitaria ha invitato via mail tutti i 65mila iscritti, oltre a ricercatori, dottorandi e docenti. I sindacati, alleati degli studenti in una rievocazione di quello che accadde in passato, hanno convocato i 2.300 lavoratori dell´ateneo. Non ci sono gli esponenti di Azione universitaria, vicina ad An, che si troveranno per discutere della riforma lunedì. Nemmeno Obiettivo studenti, vicina a Cl, è presente, «ma alcuni dei nostri andranno come singoli», spiega Francesco Magni, iscritto a Giurisprudenza. Assente anche il rettore Enrico Decleva, «impegnato fuori città».

Intanto le proteste nelle facoltà proseguono. Ieri, assemblee di facoltà e a Scienze politiche, dove si sono preparati gli striscioni da esporre oggi: "La vostra crisi non la pagheremo noi", divenuto slogan della protesta in tutta Italia, e "Chiusi i cancelli, usiamo i cervelli", da appendere agli ingressi sbarrati di via Conservatorio. Teli con scritte simili sono comparsi anche davanti al Politecnico, in piazza Leonardo da Vinci e alla Bovisa.
All'Accademia di Brera prosegue l'occupazione della direzione e si annuncia una nuova assemblea.

Sempre ieri mattina 200 studenti delle superiori hanno fatto un sit-in davanti a Palazzo Marino, in polemica con il vicesindaco Riccardo De Corato che chiede «una stretta sull´autorizzazione dei cortei, sempre accompagnati da vandalismo». I ragazzi hanno inscenato in piazza della Scala una "lezione autogestita" con libri e quaderni e bruciato una copia del decreto Gelmini.

Nelle scuole il clima è riscaldato anche dalle elezioni studentesche, che si svolgono in questi giorni. Francesco Storace, segretario de La Destra, si è scagliato contro i presidi milanesi che hanno annunciato che non accetteranno la candidatura di liste neofasciste. Va invece in controtendenza il liceo classico Berchet, in via della Commenda: oggi si vota, e per la prima volta le liste saranno entrambe "apolitiche". Il collettivo ha rinunciato a presentare una propria lista, partecipando con altri studenti alla disimpegnata Mohammed a List.


Tratto da:
La protesta contro il decreto Gelmini. Scontri e tensione in Cadorna
su
La Repubblica.it, 21 ott 2008


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giovedì 16 ottobre 2008

Le Università in rivolta


Roma, 16 ott 2008 - Nelle Università di Bologna, Firenze e Pisa si segnalano le prime occupazioni. A Roma migliaia in corteo: protesta anche alla stazione Termini. A Bologna, lezione in piazza del liceo Minghetti contro la riforma Gelmini

ROMA - Clima sempre più caldo negli atenei italiani. Per protestare contro la legge 133/08 continuano i vari sit-in e manifestazioni nelle varie città italiane. E si registrano anche le prime occupazioni. A Roma una affollatissima assemblea all'aperto alla Sapienza si è trasformata in un corteo diretto verso il ministero dell'Economia. Migliaia di studenti sono poi arrivati alla stazione Termini, che hanno occupato per qualche minuto
E c'è attesa per la manifestazione dei Cobas domani nella capitale.

Oggi è il turno dell'Aquila, dove gli studenti si riuniranno in un'assemblea promossa dall'Unione degli Universitari - L'Aquila (Udu L'aquila) nella Facoltà di Ingegneria. A Ferrara, gli studenti si riuniranno per una ulteriore assemblea organizzata dalla Rete Universitaria Attiva - Unione degli Universitari Ferrara (Rua-Udu Ferrara). A Lecce, assemblea generale studentesca promossa dall'Unione degli Universitari - Lecce (Udu-Lecce).

A Roma gli universitari della Sapienza sono in assemblea davanti al rettorato e chiedono il blocco della didattica. Tre-quattromila studenti sono riuniti nel piazzale della Minerva dove sono confluiti cortei provenienti da quattro facoltà. La riunione si doveva tenere nell'aula magna ma si è preferito farla all'aperto per il numero dei presenti.
"Sono al fianco degli studenti, ma la Protesta di per sè non risolve il problema, dobbiamo fare proposte concrete al governo per imporre un confronto", ha affermato prendendo la parola il preside di medicina e rettore in carica dal prossimo 31 ottobre, Luigi Frati. "La mobilitazione che c'è in tutta Italia, comunque - ha detto Frati - imporrà una riflessione al governo a cui penso vada presentata una piattaforma di proposte". Secondo il futuro rettore, infatti, "bloccare le lezioni per un giorno non serve, bloccarle a lungo danneggia i ragazzi e comunque sono decisioni che vanno prese in modo collegiale, non decide uno solo". Al termine dell'assemblea gli studenti sono partiti in corteo verso il ministero dell'Economia. Alla manifestazione partecipano anche i ricercatori e alcuni docenti. "Siamo in diecimila", dicono gli organizzatori. Molte le persone che si sono affacciate dalle finestre per salutare il corteo.

A Firenze invece gli studenti e i docenti hanno organizzato lezioni in piazza per coinvolgere la cittadinanza. Ieri gli studenti dell'Udu hanno occupato l'edificio D5 di Novoli. Rimangono occupate anche la facoltà di Agraria, il polo scientifico di Sesto Fiorentino e il dipartimento di Matematica Ulisse Dini. A Pisa un corteo di circa 200 studenti universitari e medi ha bloccato tra le 11,20 e le 11,40 alcuni binari della stazione. Il corteo è arrivato alla stazione dopo aver percorso alcune strade del centro storico urlando slogan contro il governo e contro la riforma Gelmini. Ieri, in una affollatissima assemblea, il rettore ha annunciato che la cerimonia di apertura dell'anno accademico salterà.

A Genova prosegue il blocco della didattica nella facoltà di Lettere. Assemblee in corso a Scienze politiche, Giurisprudenza e Lingue. Nel pomeriggio altre assemblee a Medicina, Scienze matematiche fisiche e naturali. Possibile il blocco della didattica a Ingegneria. Sempre nel pomeriggio a Lettere dibattito con studenti e genitori delle scuole di ogni grado. Domani la città sarà attraversata da tre cortei.

A Verona lezioni sospese per tutto il mese di ottobre: lo ha deciso all'unanimità il consiglio di facoltà di Scienze matematiche fisiche e naturali dell'università di Verona. "E' insopportabile essere destinatari di tagli indiscriminati - spiega il preside Roberto Giacobazzi - del tutto indipendenti dalla qualità della nostra ricerca e della nostra didattica".

Infine a Bologna prosegue l'occupazione lanciata al termine dell'assemblea d'ateneo nella facoltà di Lettere cominciata ieri nel tardo pomeriggio.

La protesta nelle scuole. Ieri, mentre in decine e decine di scuole, elementari e medie, circoli e istituti comprensivi in tutta Italia, si protestava con la 'Notte bianca' contro la riforma Gelmini, la commissione Affari costituzionali del Senato dava parere favorevole al decreto. Un via libera arrivato con i soli voti della maggioranza visto che Pd, Idv e Udc hanno votato compattamente contro e hanno denunciato profili a loro avviso incostituzionali del decreto che riformuleranno per l'Aula come pregiudiziali.

Sempre nella giornata di ieri il ministro Gelmini è salita al Quirinale per un colloquio con Napolitano. Non si placa, intanto, la polemica per una mozione della Lega per introdurre classi ad hoc per gli studenti immigrati ha scatenato un putiferio, con una levata di scudi da parte dell'opposizione e dei sindacati. ''Stiamo lavorando per fare un grande sciopero perché non condividiamo affatto le scelte del governo e, attraverso la mobilitazione, vogliamo chiedere le modifiche al piano dell'esecutivo'', ha detto stamane il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni.

Intanto cresce l'attesa per la manifestazione che attraverserà domani Roma in occasione dello sciopero generale indetto dai sindacati autonomi. "Sarà il più partecipato di tutta la storia del sindacalismo antagonista", ha detto il portavoce nazionale dei Cobas della Scuola, Piero Bernocchi, in merito al corteo che partira da Piazza della Repubblica alle 10, per arrivare a San Giovanni. Bernocchi ha sottolineto come "da tutta Italia una marea di lavoratori e lavoratrici convergerà a Roma con centinaia di pullman, treni, navi e con migliaia di automezzi privati".


Se una pantera si rimette in libertà
di Francesco Raparelli su Carta quotidiano, 16 ottobre 2008

Le notizie corrono veloci, centinaia in assemblea, migiaia nei cortei spontanei e continui che bloccano le lezioni e spesso irrompono nella città occupando le strade e bloccando il traffico. Da Roma a Pisa, da Napoli a Padova, da Milano a Bologna, da Perugia a Torino, le facoltà e gli atenei cominciano le mobilitazioni contro la legge 133, la finanziaria che, tra l’altro, intende dismettere l’università pubblica.

Della legge 133 abbiamo parlato spesso nelle ultime settimane, nulla a che vedere con una riforma organica, piuttosto tre articoli che minano alle fondamenta l’università pubblica così come l’abbiamo conosciuta:
riduzione drastica del fondo di finanziamento ordinario [Ffo];
blocco del turn-over [per ogni 5 docenti che vanno in pensione solo un ricercatore potrà diventare
docente];
trasformazione delle università in fondazioni private.

Elementi decisivi che si aggiungono al fallimento, ormai da tutti dichiarato, del 3+2, la riforma Zecchino-Berlinguer, e al de-finanziamento della ricerca. Dunque, l’atto conclusivo di un lungo processo bipartisan: la formazione intesa in modo complessivo, dalla ricerca alla scuola.

La legge 133, infatti, segue il decreto Moratti che nell’autunno del 2005 ha precarizzato la ricerca e lavora di concerto con il decreto Gelmini, in questi giorni al voto di fiducia, che condanna alla disoccupazione almeno 150mila insegnanti precari [bloccando il turn-over], impone il maestro unico tagliando il tempo pieno, reintroduce il grembiule e il voto di condotta.
Così come l’offensiva è bipartisan altrettanto in questi giorni si stanno affermando straordinari esperimenti di lotta: dalle scuole elementari - nell’inedita alleanza tra genitori, insegnanti e bambini - agli istituti di ricerca, dalle università alle scuole medie superiori.
Decine di cortei, prime occupazioni nelle scuole e nelle facoltà. Proprio nelle facoltà cominciano a segnare il passo i movimenti: oggi la giornata di mobilitazione indetta dalla Rete UniRiot, ma già dall’inizio della settimana gli appuntamenti di discussione e conflitto si sono moltiplicati. Assemblee partecipatissime e radicali nei toni: una nuova generazione di studenti, a volte poco politicizzata, di certo molto pragmatica e per nulla ideologica, fa esperienza della propria precarietà e dell’assenza di futuro alla quale le classi dirigenti, politiche ed economiche, vogliono destinarla.

Con determinazione si urla nei cortei «Non saremo noi a pagare la vostra crisi», il riferimento è alla crisi economica e alle ricette che Banche centrali e governi stanno adottando per salvare i mercati finanziari: mentre università e ricerca sono stati de-finanziati per anni, nel nome del risanamento di bilancio, oggi i contribuenti e le casse pubbliche vengono spremute per nazionalizzare le banche e per socializzare le perdite compiute dalla speculazione selvaggia. Un paradosso inaccettabile che smuove la rabbia degli studenti, ma anche di dottorandi, ricercatori e docenti.

Al pari del 2005 il mondo dell’università trova elementi di convergenza unitaria, tutti sentono a rischio il proprio presente e il proprio futuro. Oggi più del 2005 il ruolo degli studenti è decisivo: sono loro per primi che vedono sfumare ogni prospettiva di futuro, sono loro per primi che sentono di dover giocare una partita fondamentale. Il movimento del 2005 riuscì per diverse settimane ad occupare le facoltà, ma non riuscì a coinvolgere altre figure sociali nel conflitto. Docenti e ricercatori, per parte loro, abbandonarono il campo dopo l’approvazione del decreto, nella speranza che il cambio di governo imminente potesse garantire trasformazioni positive.

Ma la disastrosa esperienza del secondo governo Prodi e del ministero Mussi ha dimostrato che l’università e la ricerca non hanno governi amici e che solo i conflitti possono cambiare le cose. I movimenti che si stanno sviluppando sanno che non c’è alcuna sinistra possibile in grado di sostenere l’università pubblica di fronte alla catastrofe.

La consapevolezza, dunque, è che dalla catastrofe ci si salva mettendosi in gioco, conquistando spazio con le pratiche di conflitto e di libertà. «Né stato né mercato» questo slogan ricorre più volte nelle discussioni assembleari, nulla della vecchia università è conservabile come tale: la dequalificazione determinata dal 3+2, la distribuzione feudale e nepotistica del potere, la povertà di stimoli e la debolezza della ricerca. Piuttosto l’esigenza condivisa è quella di progettare un’altra università che sappia definire un nuovo campo di decisione comune e democratica sul sapere e sulle forme della cooperazione scientifica.

C’è una strana ricorrenza che da diversi anni accompagna le grandi esplosioni universitarie: la fuga di una pantera. Accadde nel ’90, di lì il nome assunto dal movimento, accadde nel 2005. Sembrerà strano ma una pantera è scappata in Irpinia, la notizia è di qualche giorno fa.
Speriamo che anche questa pantera libera porti con se la libertà del sapere e le occupazioni degli studenti.


Tratto da:
Le università in rivolta
su La Repubblica.it, 16 ottobre 2008


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martedì 14 ottobre 2008

La Provincia con i No coke, contro la Regione e l’Enel


Viterbo, 13 ottobre 2008 - La Provincia di Viterbo continua a dire no al protocollo proposto dalla Regione Lazio, ma ispirato dall’Enel, che offre di fatto compensazioni economiche in cambio del silenzio sull’uso del carbone nella centrale Torre Valdaliga nord di Civitavecchia, a nord di Roma.

La firma l’hanno invece messa, mesi fa, la Provincia di Roma e tutti i Comuni del comprensorio chiamati al tavolo istituzionale, in prima fila Civitavecchia. A quel tavolo, però, non erano stati convocati comuni come Ladispoli e Cerveteri, che del comprensorio fanno parte ma che sono da sempre contrari all’uso del carbone.

Per manifestare l’apprezzamento e il sostegno dei cittadini alla posizione di fermezza mantenuta
dall’amministrazione, i No coke e il Comitato dei cittadini liberi di Tarquinia hanno scritto al presidente e a tutti gli assessori e consiglieri provinciali, offrendo la loro disponibilità a intraprendere iniziative comuni.

Così, se da una parte c’è la Provincia che «ancora non si è piegata ai voleri dell’Enel mettendo in primo piano la salute dei cittadini e l’inestimabile patrimonio che proviene dal comparto agricolo e turistico», dall’altra c’è il Comune che ha denunciato cinque no coke per le presunte offese ricevute. Modi diversi del centrosinistra di interpretare il mandato avuto dagli elettori.


Tratto da:
La Provincia con i No coke, contro la Regione e l’Enel
su Carta, 13 ottobre 2008



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La preparazione della discarica di Chiaiano: un’offesa all’Esercito Italiano!


Chiaiano, 13 ott 2008 - Oggi è stata eseguita la visita tecnica, richiesta dal sindaco di Marano al Sottosegretario Bertolaso, per verificare i lavori in corso per trasformare la Cava del Poligono di Chiaiano in discarica urbana nell’ambito di un parco regionale.

Il sopralluogo è stato guidato dai militari dell’Esercito Italiano che ci hanno vietato di eseguire fotografie nella cava dove di militare non c’è assolutamente niente (tranne gli accompagnatori che ci hanno scrupolosamente scortato con le armi imbracciate, in base ai severi ordini loro impartiti.

Benché l’ambiente commissariale sapesse che la visita si sarebbe svolta questa mattina, non abbiamo trovato nessun tecnico con cui dialogare; non era presente nemmeno il responsabile civile del cantiere e alcuni operai non lavoravano in condizioni di sicurezza come previsto dalle vigenti leggi, nonostante l’autorevole richiamo fatto recentemente dal Presidente della Repubblica. Le considerazioni principali scaturite dal sopralluogo sono le seguenti:

1. l’alveo-strada Cupa del Cane che scorre al di sopra della cava a fossa e che determina una situazione di rischio di inondazione del sottostante piazzale di lavoro, come evidenziato dalla competente Autorità di Bacino, non è ancora stato oggetto di messa in sicurezza idrogeologica. In caso di evento piovoso significativo la cava può essere invasa rovinosamente dalle acque e detriti con portate stimate di oltre 10.000 litri/secondo. La sistemazione idrogeologica deve essere propedeutica ai lavori nel piazzale di cava. La strada in gran parte alveo-strada è stata ricoperta di pietrisco senza adeguate sistemazioni idrauliche per cui le piogge intense provocheranno erosione e trasporto di terreno e detriti fino nell’abitato di Marano a valle.

2. Gli autoveicoli pesanti percorrono il tratto di alveo-strada ubicato alla sommità di una parete di tufo giallo, alta oltre 20 metri, molto fratturato e incombente sulla cava. Tale parete, larga 10-15 metri circa, fa da muro di contenimento a circa 20 m di terreno eterogeneo accumulato in passato per riempire la cava presente a sinistra (scendendo) dell’alveo strada. Lo scrivente ha segnalato ai militari la pericolosità della situazione e il rischio corso da civili e militari che transitano lungo l’alveo-strada instabile.

3. Il piazzale di cava non è stato ancora bonificato; è stato accumulato e ricoperto con teloni il terreno che divideva le piazzole di tiro. Il substrato del piazzale dove sono stati prelevati i campioni risultati inquinati non è ancora stato ripulito mediante l’asportazione dello strato di terreno che deve essere bonificato.

4. Alcuni lavoratori stavano sistemando le reti, rinforzate da cavi d’acciaio a maglie, chiodate nel tufo delle pareti della cava. Le reti erano state messe al di sopra del tufo delle pareti sud ed est fino a ricoprire per alcuni metri anche i sovrastanti sedimenti piroclastici sciolti. Qualche blocco di tufo pericolante è stato disgaggiato. Lo scrivente ha fatto notare ai militari che nella parte alta della parete sud si erano verificate alcune piccole colate di fango innescatesi al di sopra delle reti, vale a dire nella parte sommitale del versante. Le piccole frane si sono distaccate proprio come è stato segnalato ripetutamente dai tecnici di Marano durante gli incontri tenutisi presso il Commissariato tra giugno e luglio. Permane quindi il rischio per le persone che transitano o operano alla base delle pareti di essere investiti da masse di fango (il peso si aggira tra 2000 e 2500 kg per metro cubo) distaccatesi 70 metri più in alto. Si è colta l’occasione per illustrare ai militari il pericolo di crollo di enormi masse di tufo fratturato in relazione alla spinta fatturazione dell’ammasso roccioso. In particolare è stato evidenziato il grave errore commesso dall’ARPAC e dai progettisti nel non comprendere l’instabilità della parete sud dove il tufo è interessato da una serie di fratture che immergono verso valle con inclinazione di circa 80 gradi predisponendo il distacco improvviso e rovinoso di enormi quantità di roccia come accaduto nel 1999 in una cava vicina (circa 6000 metri cubi).

5. Le strade (alvei strada) per entrare e uscire dalla Cava del Poligono non sono state modificate per cui gli autoveicoli pesanti non sono in grado di transitare in sicurezza.

Il sopralluogo ha evidenziato:
• un cantiere senza sicurezza per i lavoratori e i militari che frequentano la cava del Poligono;
• un cantiere nel quale si stanno eseguendo lavori di “messa in sicurezza“ delle pareti di cava assolutamente inadeguati, basati su dati geostrutturali sbagliati e non protetto dal pericoli di inondazione;
• una strada di accesso al cantiere (il tratto di alveo-strada di Cupa del Cane incombente sulla cava) che è ubicata su una parete di tufo fratturato instabile.

I dati emersi evidenziano che l’Esercito Italiano è stato coinvolto in una operazione non trasparente: in base agli ordini ricevuti i militari sono stati costretti a scortarci armati, pur sapendo che eravamo rappresentanti istituzionali del Comune di Marano e non malavitosi, anche mentre illustravamo loro i pericoli ambientali ai quali erano incoscientemente esposti, connessi all’instabilità delle pareti della cava. Pericoli non compresi dai progettisti. Con amarezza si evidenzia che l’Esercito Italiano è usato per “fare la guardia” affinché non venga disturbato chi opera realizzando interventi inadeguati e per di più in situazioni che non garantiscono la sicurezza a chi lavora e a chi frequenta la cava. L’Esercito non può essere usato spregiudicatamente in operazioni che non hanno niente da fare con le attività militari come la sorveglianza ad un cantiere civile dove sono in corso lavori che, per errori professionali dei progettisti, mettono a rischio la sicurezza delle persone compresi i militari.


Tratto da:
La preparazione della discarica di Chiaiano: un’offesa all’Esercito Italiano! di Franco Ortolani, Ordinario di Geologia, Università di Napoli Federico II


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venerdì 10 ottobre 2008

Scuola, studenti in piazza contro il Decreto Gelmini


Roma, 10 ott 2008 - Migliaia di ragazzi - 300 mila secondo l'Unione degli studenti, addirittura mezzo milione secondo la Rete studenti - hanno manifestato in un centinaio di piazze italiane contro la riforma della scuola firmata Mariastella Gelmini.

Nel mirino delle associazioni studentesche ci sono il maestro unico, i tagli al settore e la reintroduzione del voto di condotta. Una protesta che si lega ed anticipa lo sciopero del personale della scuola, in programma il prossimo 30 ottobre, alla quale gli studenti hanno già dato l'adesione. E che ha avuto l'esplicito sostegno del leader del Pd, Walter Veltroni.

Secondo l'Uds, sono scesi in piazza 40 mila ragazzi a Roma, altrettanti a Napoli e Torino, 30 mila a Milano, 15 mila a Firenze. In diverse città, al fianco degli studenti delle scuole ha sfilato il popolo dell'università, su spinta dell'Unione degli universitari (Udu). Tra gli slogan gridati o scritti sugli striscioni, "Moratti+Fioroni+Gelmini=una scuola senza cervelli", "Outlet: -50% docenti, -7% studenti, ricercatori 3x2", "Sulla scuola non si risparmia", "Scuole come prigioni, ci avete rotto i c...". In diverse città sono andati in scena forme fantasiose di dissenso, e predomina il tema funebre: a Milano e Firenze, il corteo è stato aperto da una bara, mentre a Napoli un gruppo di studenti ha indossato veli neri in segno di cordoglio, e ha improvvisato un "funerale dei libri"; altri, si sono presentati in mutande "come metafora della precarietà della scuola". Gli unici disordini si sono verificati a Torino, dove un gruppo di ragazzi dei centri sociali ha cercato di occupare il liceo classico Gioberti. A Roma, una delegazione delle associazioni studentesche è stata ricevuta a viale Trastevere da due dirigenti del ministero dell'Istruzione. Fuori intanto, i manifestanti inscenavano un "concerto-sconcerto" dedicato al ministro per dire che "con la riforma Gelmini la scuola torna indietro di 50 anni". La protesta ha preso forma anche nella rete: su Youtube è finito il video di un grembiule bruciato questa mattina a Bergamo da alcuni studenti durante il corteo di protesta contro la riforma Gelmini. Le reazioni politiche non si sono fatte attendere. A sinistra, l'applauso più forte è quello del governatore della Puglia, Nichi Vendola, che vede nella protesta "il primo atto tangibile di opposizione al governo Berlusconi e al centrodestra".


Sostegno anche dal Pd: "Siamo con questi ragazzi - dice il leader Veltroni -, ma anche con i professori che lavorano seriamente per stipendi troppo bassi, con i genitori che si vedono sottrarre il tempo pieno. La manifestazione del 25 ottobre sarà una nuova occasione di lotta contro la scuola che piace al governo". E il ministro ombra dell'Istruzione Mariapia Garavaglia invita il ministro Gelmini, "che incomprensibilmente si chiede perché queste manifestazioni avvengano", ad "accettare il confronto su argomenti che riguardano il futuro del Paese". Per la Cgil, la mobilitazione di oggi rappresenta un "grandissimo successo". Contro gli studenti in piazza si è espresso, Francesco Pasquali dei giovani di Forza Italia: "Le motivazioni di chi è sceso in piazza dimostrano che i manifestanti hanno imparato bene la propaganda sindacale: hanno manifestato contro se stessi". Il governo però insiste sui tagli: il ministro della Semplificazione Roberto Calderoli ritiene abnorme il numero di bidelli (160 mila), e invita i presidi a non rivolgersi a strutture esterne per pulizie e mensa.


Tratto da:
Scuola, studenti in piazza contro il Decreto Gelmini
su
Fonte Ansa, 10 ott 2008


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Chiaiano: rinvio della sentenza del TAR


Napoli, 09 ott 2008 - Un breve rinvio, di circa un mese, è stato richiesto ed ottenuto dall’avvocato Raffaele Capunzo per conto del Comune di Marano nell'udienza svoltasi stamattina dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio chiamata ad esprimersi sulla sospensiva dei provvedimenti volti alla realizzazione della discarica nella cava del Poligono a Chiaiano.

Il rinvio è stato chiesto per chiedere formalmente l’accorpamento di tutti i ricorsi presentati dal Comune di Marano: oltre al ricorso introduttivo, infatti, i legali hanno contestato anche le successive ordinanze della Presidenza del Consiglio dei Ministri e gli atti della Conferenza dei Servizi sulla Valutazione di Impatto Ambientale, con ricorsi supplementari rispetto a quello iniziale. La richiesta è stata motivata con la necessità e l’opportunità di ottenere un giudizio completo e per fare in modo che il Tar possa esprimersi compiutamente su tutto il procedimento amministrativo nella sua interezza. La seduta odierna rappresentava già la continuazione della Camera di Consiglio del 30 luglio scorso, quando il Tar aveva chiesto alla Protezione Civile di produrre atti e documentazioni in grado di fornire chiarimenti su diversi aspetti della procedura.


Tratto da:
Chiaiano: rinvio della sentenza del TAR di Santolo Felaco
su chiaianodiscarica, 09 ott 2008



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martedì 7 ottobre 2008

Comunicato stampa degli Amici di Pino Masciari


07 ott 2008 - Gli Amici di Pino Masciari chiedono alle Autorità competenti - Commissione Centrale (da qui CC), Servizio C.le di Protezione, forze dell’ordine - di prendere i dovuti contatti con Pino Masciari testimone sottoposto a Programma di Protezione, che in questi giorni non è stato contattato dai referenti responsabili e di fatto continua a muoversi “autonomamente” senza alcuna garanzia di sicurezza, attenendosi alle parole della notifica della CC del 19 ottobre.

Stiamo parlando di un testimone sottoposto a programma di protezione ad altissimo rischio di incolumità.

Eppure nei recenti viaggi in Sicilia, a Roma,Bergamo,Torino, Bologna, Milano, gli incontri, che erano stati preventivamente indicati alla CC e che erano pubblici, non sono stati presidiati dalle forze dell'ordine, né tantomeno Pino Masciari è stato contattato perché ciò avvenisse.

Abbiamo assistito a sporadiche e fugaci apparizioni di forze dell'ordine giunte per verificare la presenza di Pino Masciari, tuttavia senza assicurarsi di persona di ciò e abbandonando subito il luogo delle conferenze: a dimostrazione che è da escludere l'intenzione di garantire la sicurezza di Pino e noi, suoi amici che portiamo avanti l'azione di difesa popolare, ne siamo testimoni insieme a tutti i cittadini presenti. Non siamo e non dobbiamo essere noi i responsabili della protezione di Pino: questo è dovere, obbligo e competenza della Commissione Centrale che dà direttive al Servizio C.le di Protezione, il quale a sua volta dispone le forze dell’ordine sul territorio. Noi lo accompagniamo e gli stiamo accanto in assenza della scorta di protezione che dal 19 settembre 2008 non è stata più assegnata, cercando di impedire la libertà di movimento e la volontà di esprimersi nel percorso di valori di legalità, di lotta alle mafie e rispetto dello Stato.

E' inutile contattare noi, amici di Pino: è successo nelle scorse ore, ma non essendo responsabili della sua sicurezza NON daremo mai indicazioni sensibili riguardo Pino a una voce telefonica che potrebbe essere di chiunque.
Non si cerchino formule giustificative giocando sulla vita di un uomo che si è affidato allo Stato, dando così dimostrazione di scarsa scrupolosità e poca intenzionalità di preoccuparsi tangibilmente della sicurezza di un soggetto noto e a rischio come Masciari.



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lunedì 6 ottobre 2008

Referendum "No Dal Molin": un vicentino su quattro va a votare contro l'ampliamento


Vicenza, 06 ott 2008 - E' stata una bella giornata, su Vicenza dall'alba splendeva il sole. Per le strade i furgoni carichi di gazebo e tavoli, mentre davanti alle scuole si radunavano i volontari che avrebbero prima montato e poi aperto i seggi.

Davanti alle 32 urne organizzate dal comitato per la consultazione popolare - formatosi 3 giorni fa, dopo la sentenza del Consiglio di Stato - code per tutta la giornata: i vicentini avevano voglia di votare.

Poi, man mano che la sera scendeva, al Media Center di Piazza Castello si affollava la gente; prima a decine, poi a centinaia per seguire con i propri occhi lo spoglio delle schede. Hanno chiuso alle 21.00 i seggi, ma lo scrutinio è finito che era quasi mezzanotte; in una piazza piena di gente ha preso il microfono il notaio del comitato dei garanti che ha snocciolato i numeri: 24.094 votanti pari al 28,56% degli iscritti alle liste elettorali. Di questi, 23.050 sono voti favorevoli all'acquisizione, da parte del Comune di Vicenza, dell'area del Dal Molin: il 95,66% dei votanti, dunque, ha detto no alla nuova base militare statunitense.

Nella piazza scrosciano gli applausi; un referendum convocato dalla città, mercoledì sera in Piazza dei Signori, dopo che il Consiglio di Stato, con un colpo di mano, aveva annullato la consultazione ufficiale promossa dall'Amministrazione comunale. Quella sera, sospinto da 12 mila vicentini indignati, il Sindaco aveva annunciato che "se non ci permettono di votare nelle nostre scuole, voteremo davanti alle nostre scuole, sotto i nostri gazebo". E così è stato: migliaia di vicentini hanno rivendicato, votando, il diritto della città del Palladio a decidere del proprio futuro e hanno difeso la democrazia che era stata sospesa dalla sentenza filogovernativa del Consiglio di Stato.

"Un risultato eccezionale - ha commentato, a caldo, Achille Variati - che dimostra la volontà della cittadinanza di esprimersi. Chi criticherà questa giornata di democrazia - ha concluso il Sindaco - organizzi un referendum autogestito e porti a votare 24.000 cittadini a favore della base militare". Cinzia Bottene, del Presidio Permanente, ha sottolineato la natura decisionale di questo atto democratico: Vicenza ha deciso, ora gli statunitensi devono rispettare la città e ritirare il proprio progetto.

Tra i favorevoli alla base militare (i partiti del centrodestra) è calato un imbarazzato silenzio. Unica voce fuori dal coro è quella di Giancarlo Galan che fa la figura del baccalà, non accorgendosi che al voto hanno partecipato decine di migliaia di persone e non capendo che la consultazione era organizzata con tutte le garanzie necessarie per far sì che soltanto i residenti potessero votare; ma non c'è da stupirsi: il governatore veneto, pur di far prendere aria alla bocca, è pronto a dir di tutto e in questi giorni ha dato il meglio di sè insultando più volte la città del Palladio.

Due anni di atti di arroganza e imposizioni, dunque, non sono bastati a far piegare la testa ai vicentini che, con il voto di oggi, hanno dimostrato ancora una volta il radicamento di cui gode l'opposizione alla struttura militare statunitense. La democrazia, finalmente, si è espressa e ha deciso: No Dal Molin.


Tratto da:
Vicenza ha deciso. Sì al 95,66% dal Presidio permanente NO Dal Molin
su
Pattomutuosoccorso, 06 ott 2008


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sabato 4 ottobre 2008

La Rete degli Studenti Medi invade le piazze di cento città


4 ott 2008 - E’ partito l'autunno caldo della scuola: stamattina i ragazzi della Rete degli Studenti Medi (ReDS) provenienti da tutta Italia manifestano a pochi metri dal Ministero contro i "proclami mediatici che non hanno niente di reale per risolvere i problemi della scuola". Lo slogan coniato per l'occasione è "balle e pupe".

"Abbiamo denunciato - dice Giulia Tosoni - l'Emergenza Ballismo da cui siamo sommersi: il ministro Gelmini manipola i dati, inventa emergenze, sostiene inesistenti ragioni educative pur di giustificare il fatto incontestabile che questo Governo ha deciso di risparmiare dalla scuola, e quindi sulla qualità, sul merito, sulle pari opportunità, ben 8 miliardi di euro in tre anni". I ragazzi distribuiranno il kit antiballismo e "le grembiuline" metteranno in scena la parodia dal titolo "sotto il grembiulino niente...", spettacolo in stile scuola anni '50.

La ReDS, facendo tesoro di altre importanti esperienze studentesche del nostro Paese, unisce le forze con altre due reti studentesche nazionali, SDS (Studenti di Sinistra) e Idee Studentesche in Movimento, per formare il più grande e rappresentativo sindacato studentesco delle scuole superiori con lo scopo di discutere gli obiettivi scolastici tra studenti di tutta Italia e far sentire la voce giovani in difesa dei loro diritti e per una scuola più democratica, più aperta e di migliore qualità.

“Di fronte a ciò che sta avvenendo alla scuola non possiamo accontentarci degli
strumenti che abbiamo: gli studenti sono troppo spesso privi di mezzi necessari a far valere le proprie opinioni, sarà perché molti di noi ancora non votano..
La scuola continua a essere la Cenerentola delle priorità politiche: il tema su cui tutti mettono le mani, per distruggere e mai per costruire.
L’ultima riforma vera della scuola è stata negli anni ’50. Poi solo annunci, proclami,
mentre i fondi diminuivano e gli studenti subivano sulla propria testa le riformette a basso costo del Ministro di turno: una volta i debiti, una volta gli esami, una volta la maturità, una volta la condotta, ecc.
E’ tempo di capire che senza una scuola di qualità in Italia mancherà sempre sviluppo e giustizia sociale.
Noi studenti lo sappiamo bene, perché ne va del nostro futuro, di poter un giorno avere una casa, un lavoro, delle capacità. Di fronte a ciò che accade, dobbiamo riprenderci il futuro.
Non accettiamo più che si parli di noi come giovani senza valori… Noi ci impegniamo ogni giorno per la democrazia, la giustizia, la solidarietà.”
Ma la protesta non coinvolge solo gli studenti, il mese di ottobre vedrà in piazza a più riprese il popolo della scuola: docenti, studenti e dirigenti scolastici, tutti contro la riforma Gelmini. Nutrito il calendario di manifestazioni e scioperi indetti da sindacati e associazioni studentesche che contestano la maggior parte dei punti del decreto-legge Gelmini, in questi giorni in Parlamento, su cui il governo ha già posto la fiducia.

In diverse città, come Roma e Milano, genitori e insegnanti hanno manifestato con cortei, sit-in, scioperi e occupazioni. E sono ancora parecchi gli appuntamenti a livello nazionale cui saranno chiamati insegnanti e ATA.

Nei giorni scorsi hanno manifestato i precari dell'ANIEF (Insegnanti in formazione), che hanno strappato l'apertura delle graduatorie "ad esaurimento". L'Unicobas, che ha indetto il primo sciopero, sostenuto dall'Italia dei Valori e dai ragazzi della FGCI che parlano di grande successo dell'iniziativa "Taglialagelmini.it", "l'unico taglio accettabile alla scuola. E la mobilitazione continua oggi in cento piazze, fino alla manifestazione dell'11 ottobre, che vede il tema della scuola al centro della sua piattaforma".

Nel frattempo la CISL scuola si mobilita con una manifestazione "in difesa della scuola". Il suo segretario nazionale, Francesco Scrima, con toni diversi da quelli usati dagli studenti pone al centro dell'attenzione lo stesso tema. "Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, è tornato a parlare del 'maestro unicò e del 'tempo pieno' affermando: 'Grazie all'introduzione del maestro unico il tempo pieno, così utile per le famiglie, sarà aumentato del 50% per cento. Analoga 'promessa' era già stata fatta dal ministro Gelmini nel 'salotto' di Bruno Vespa. Ma i numeri sbugiardano lo spot: le classi a tempo pieno nell'anno scolastico 2007/08 erano 33.224; per aumentarle del 50 per cento avremo dunque bisogno di 16.612 maestri in più. Peccato - continua Scrima - che nei tagli previsti dal Piano programmatico si indica che nel prossimo anno i maestri dovranno essere complessivamente 14.000 in meno. I conti non tornano, ritornano solo le bugie".

Il 10 ottobre, al grido di "Non è che l'inizio...", sarà la volta dell'Unione degli Studenti. I ragazzi delle scuole superiori saranno nelle piazze delle più importanti città italiane e non solo: da Torino a Trapani, passando per Napoli, Roma, Firenze, Milano. Secondo gli studenti i tagli previsti dalla Finanziaria (131 mila posti in tre anni) abbasseranno la qualità della didattica. "Il ministro Gelmini - spiega Valentina Giorda - persevera nel percorso di aggressione all'istruzione pubblica: non si può definire civile un paese che non investe in sapere e conoscenza. Vogliamo una scuola diversa, che sia realmente volano di sviluppo civile e sociale".

Meno di una settimana dopo, il 16 ottobre, la Gilda degli insegnanti sarà in piazza nella Capitale. All'ordine del giorno i previsti dalla Finanziaria, il contratto scaduto da nove mesi e la "marcia forzata a colpi di decreti messa in atto dal governo per riformare il sistema di istruzione". E per il 17 ottobre, i Cobas della scuola hanno proclamato lo primo sciopero generale del personale della scuola. "No alla distruzione della scuola pubblica, Gelmini vattene!!", si legge nel volantino che annuncia lo sciopero. La lista delle iniziative contestate è lunghissima: dal maestro unico, al taglio del personale.

Il "caldo ottobre scolastico" si concluderà con lo sciopero dei dirigenti scolastici. Presidi e direttori di FLC CGIL, CISL e UIL scuole e SNALS si fermeranno per protestare contro il mancato rinnovo del contratto di lavoro e, contemporaneamente, chiedono "l'equiparazione retributiva alle altre dirigenze dello stato". Impegno, quest'ultimo, che il governo ha già assunto con gli interessati a fine luglio.


Tratto da:
Studenti in piazza in cento città, via all'autunno caldo della scuola di Salvo Intravaia
su
La Repubblica.it, 4 ottobre 2008
Nasce il nuovo sindacato degli studenti: la rete degli studenti medi
su
ReDS, 30 settembre 2008



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venerdì 3 ottobre 2008

Due rigassificatori minacciano le Marche


Povere Marche! Non bastava la cementificazione selvaggia, la raffineria Api di Falconara, le innumerevoli varianti ai piani regolatori, progetti di inceneritori, le centrali a biomasse a cui si oppongono vari comitati di cittadini, reti di varia natura che disinvoltamente vogliono attraversare valli incontaminate.

Per devastare definitivamente una regione che, nonostante tutto, offre ancora a chi ci si imbatte una dignitosa qualità ambientale, si vogliono far nascere ben due rigassificatori.
Il primo impianto è proposto dal gigante Gaz de France e dovrebbe sorgere nella parte meridionale della provincia anconetana, davanti a Porto Recanati. Il progetto prevede una nave impiegata per la rigassificazione e lo stoccaggio galleggiante, con capacità fino a cinque miliardi di metri cubi/anno; un gasdotto sottomarino in grado di trasportare fino a dieci miliardi di metri cubi/anno; un punto di raccordo con una cabina di riduzione e misura con la rete di trasporto nazionale della Snam.

Il secondo sito è stato proposto dall’Api di Falconara, in un’area con il triste primato di essere seconda in Italia per pericolosità. Questo secondo impianto dovrebbe essere costruito a largo di Falconara marittima. Questo impianto prevede un terminale di rigassificazione della capacità di quattro miliardi di metri cubi/anno. Il tutto avverrebbe riadattando una piattaforma già esistente a sedici chilometri dal litorale.
Ma come ha reagito il potere politico e in particolare la Regione? Il Presidente Spacca non ci ha pensato un attimo e ha subito dichiarato la sua ampia disponibilità. Dopo una riunione di giunta, pur in toni ufficiosi, ha fatto sapere che "in tutte le forze del centrosinistra, in attesa del parere dei tecnici, c’è una sostanziale condivisione". E, infatti, è stato dato il via all’iter amministrativo. Il Prc, per bocca del suo segretario regionale Brandoni, si è subito fatto sentire precisando che l’avvio del percorso burocratico non significa aver espresso un parere favorevole. E un ordine del giorno approvato al congresso provinciale di Ancona chiede al partito regionale un no chiaro e inequivocabile.
Ma al di là delle dinamiche della politica ufficiale, c’è la sostanza di un nuovo pericolo per l’ecosistema regionale. E’ bene ricordare che qualche anno fa fu la maggioranza di centrosinistra a rinnovare la concessione alla raffineria Api di Falconara; con questi precedenti non c’è da dormire sonni tranquilli. Tra l’altro, la Confindustria marchigiana porta avanti da tempo un assalto all’arma bianca per la revisione del Pear (Piano Energetico Ambientale Regionale) ritenuto troppo "restrittivo". E dire che lo stesso Piano è tutt’altro che limpido sulle scelte da fare. Per esempio proprio sui rigassificatori non dice nulla e per le fonti rinnovabili, strategicamente centrali, privilegia biomasse ed eolico, mentre sul fotovoltaico, pur prevedendo, positivamente, un suo utilizzo nella bioedilizia, rimanda ad un indefinito futuro uno suo massiccio impiego.
Per le biomasse c’è da dire che ormai nella regione sono sorti numerosi comitati che vedono le centrali con una certa diffidenza (per usare un eufemismo), anche perché si propongono impianti di grandi dimensioni (18/25 megawatt), ben lontani da quelle micro strutture di cui si parla nello stesso Pear. Del resto predicare bene e razzolare male, è ormai una prerogativa facilmente riscontrabile in molti amministratori. Nonostante questo quadro sicuramente poco incoraggiante, dalla società giungono segnali di resistenza.
Da tempo è attivo il “Cantiere Altre Marche” che sta mettendo in rete le varie realtà che si battono contro i vari progetti “sviluppasti”. A cascata stanno nascendo mini coordinamenti territoriali formati da comitati specifici. Per esempio contro megacentrali a biomasse gruppi di Sasso ferrato Jesi (provincia di Ancona) e Schiappe (pesarese), Girala (fermano) hanno dato vita ad una mini rete con l’obbiettivo di contrastare la nascita di tali impianti. A Jesi l’undici agosto, dopocena, con un caldo tropicale, una conferenza del professor Gianni Tamino, invitato dal Comitato per difesa della salute e del territorio della Vallesina, ha visto una partecipazione incredibile, la sala era stracolma. Un segnale importante che dovrebbe far riflettere chi nel palazzo regionale fa orecchie da mercante.


Tratto da:
Due rigassificatori minacciano le Marche di Sergio Sinigaglia
su Carta



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giovedì 2 ottobre 2008

Il Consiglio di Stato blocca la consultazione popolare


Vicenza, 02 ott 2008 - E’ stato accolto dai giudici romani il ricorso del comitato favorevole al progetto Ederle 2 che di fatto impedisce la consultazione popolare prevista. Sparisce dal calendario del Comune la data del 5 ottobre.

Domenica non ci sarà alcuna consultazione ufficiale sul Dal Molin, nessun appuntamento istituzionale con le urne. Il referendum è stato annullato dal Consiglio di Stato, che a tre giorni dal giorno della verità ha messo fuori gioco la delibera con cui il consiglio comunale a luglio aveva indetto la consultazione sulla base Usa. In questo modo, i giudici amministrativi di secondo grado ribaltano il giudizio emesso dal Tar del Veneto due settimane fa, accogliendo il ricorso del comitato favorevole alla Ederle 2.

LO SHOCK. La notizia è una scossa che sferza la città. Viene vanificato uno progetto politico maturato durante la campagna elettorale della scorsa primavera e coltivato dalla giunta del sindaco Achille Variati fino all’ultimo minuto. La decisione giunge quando ormai è troppo tardi per fermare una macchina organizzativa costata 120 mila euro: tutte le 87 mila schede sono già state recapitate nelle case degli elettori vicentini.
Davanti a palazzo Spada si vivono due scene opposte: da una parte il giubilo esibito dal primo firmatario del ricorso, Roberto Cattaneo, leader del comitato del Sì alla base, con gli avvocati Pierantonio Zanettin e Alessandro Moscatelli; dall’altra la delusione e l’amarezza del sindaco Variati e dell’assessore agli Affari legali Antonio Marco Dalla Pozza.

IL VERDETTO. Cosa ha deciso la quarta sezione del Consiglio di Stato, presieduta dal giudice Luigi Cossu? L’argomentazione muove dall’ordinanza di metà settembre. Il Tar aveva evidenziato l’insussistenza di «sufficienti elementi per l’accoglimento della misura cautelare» dal momento che vi è assenza di danno, trattandosi di una consultazione «a scopo esplorativo, al fine di svolgere un sondaggio tra la popolazione», e che «il quesito verte su un’eventuale iniziativa da parte del consiglio comunale, sul cui esito non vi è alcuna certezza». I giudici romani ritengono invece che «l’argomentazione del Tar non può essere condivisa». Perché? «L’assenza di danno non è sufficiente a sorreggere, da sola, la pronuncia cautelare, essendo necessaria una valutazione di legittimità dell’atto impugnato e tale valutazione non può che avere esito negativo, atteso che la consultazione ha per oggetto “un auspicio” del Comune di Vicenza al momento irrealizzabile, qual è quello di acquisire un’area sulla cui sdemanializzazione si sono pronunciate in senso sfavorevole le autorità competenti». L’obiettivo non può essere raggiunto perché il governo ha dichiarato il Dal Molin non in vendita e perché lo ha già ceduto agli americani. Non è finita qui: «La consultazione - scrivono i giudici romani - appare comunque inutile, ove si volesse assumere una sua connotazione “patrimoniale”, giacché non occorrono sondaggi per accertare la volontà positiva di ogni cittadino di accrescere il patrimonio del Comune di appartenenza, al pari di quanto potrebbe verificarsi se si proponesse un quesito su un ipotetico vantaggio patrimoniale individuale e/o collettivo». Sono questi i due architravi dell’ordinanza che sospende l’efficacia della delibera comunale. A questo si aggiunge un’ultima confutazione delle tesi sostenute dal Tar: «L’esito incerto della consultazione popolare è proprio di questa, e non può essere assunto a motivo di irrilevanza del danno che dallo svolgimento della stessa può derivare».
Il cerchio dei provvedimenti in via cautelare si è chiuso ieri. La parola, ora, torna al Tar per la sentenza di merito. Ma ci vorrà tempo: di certo nessun pronunciamento è atteso prima di domenica. Per questo, il procedimento è già stato fermato e congelato.

LE REAZIONI. «Sono preoccupato», dichiarava a caldo ieri il sindaco Variati, che parla di «un’ordinanza incomprensibile, miserevole dal punto di vista del diritto, e che sembra avvolgere l’alta corte del Consiglio di Stato in una nube di sospetto francamente inquietante. Oggi ci sentiamo traditi. E come sindaco vivo questa decisione come la violenta sopraffazione di uno stato sordo e lontano» L’assessore Dalla Pozza si dice «allibito», conferma che domenica l’appuntamento istituzionale salta, ma che la battaglia non è finita: «Se serve andremo fino alla Corte di giustizia europea».
Dopo l’ordinanza, Cattaneo è stato ricevuto a palazzo Chigi dal sottosegretario Gianni Letta, che ha confermato gli impegni del governo su tangenziale e prolungamento di via Aldo Moro: «È stato confermato che la consultazione è inutile e dannosa per la città e pertanto non può essere svolta. A questo punto il presidente della Repubblica, il governo, il commissario Costa, la magistratura, la Regione, la Provincia, hanno tutti manifestato la loro contrarietà alla posizione assunta dal sindaco sul Dal Molin. Invitiamo ancora Variati a operare finalmente per salvaguardare i benefici collegati al Dal Molin, difendendo realmente gli interessi di Vicenza e di tutti i suoi Concittadini».


Tratto da:
Il Consiglio di Stato blocca il referendum: È irrealizzabile di Gian Marco Mancassola
su
il Giornale di Vicenza, 2 ottobre 2008

Articoli di riferimento:
Vicenza, sospeso il referendum. L'indignazione dei "No Dal Molin"

I commenti:
Un golpe amministrativo di Marco Revelli
Se la democrazia diventa inutile di Ilvo Diamanti
Due democrazie di Gianni Belloni



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mercoledì 1 ottobre 2008

Un arresto a Chiaiano. Domani Berlusconi a Napoli


Napoli, 30 set 2008 - Chiaiano è militarizzata: sabato le cariche della polizia, oggi un arresto, stasera assemblea al Presidio. Da ieri l'esercito presidia l'altopiano del Formicoso, nell'Irpinia e i sindaci si incatenano davanti a palazzo Chigi. Domani Berlusconi torna a Napoli a svelare chi gestirà l'inceneritore di Acerra.

Dopo le cariche della polizia dello scorso sabato contro il corteo pacifico del «Jatevenne day» oggi un’altra aggressione agli abitanti di Chiaiano che intorno alle 13 hanno cercato di bloccare la marcia di cinque mezzi pesanti dell’esercito diretti nella cava carichi di pietrisco.
I manifestanti, un centinaio, andavano a passo lento, una tattica usata per rallentarne i mezzi. Dopo una ventina di minuti hanno lasciato il passo libero ai camion che si sono diretti in via cupa dei cani, verso la cava. «È stato allora che improvvisamente hanno arresto Mauro Bertini [ex sindaco di Marano ndr.] – racconta Santolo che stamattina era lì – un esponente di rilievo del Presidio permanente di Chiaiano e Marano. La polizia era schierata in assetto antisommossa senza alcun motivo, i manifestanti erano disarmati e c’erano molti anziani». Bertini ora si trova nel commissariato di Scampia in stato di fermo.

Per l’apertura della discarica i tempi si allungano. Se, in prima ipotesi, la data di messa in funzione del primo lotto era prevista per mercoledì 8 ottobre, ora anche il sottosegretario all’emergenza rifiuti, Guido Bertolaso, tentenna. Forse la fine del mese prossimo, forse tra quattro mesi scrive «Il mattino». Bertolaso poi rincara la dose e, dai microfoni di Radio 24, dice «quelli che protestano sono quelli che quando ero commissario straordinario durante il governo Prodi mi impedirono di risolvere il problema». A lui risponde Monica Frassoni, presidente del gruppo parlamentare dei Verdi europei, «Le accuse di Bertolaso sono del tutto fuori luogo. Farebbe meglio a trovare risposte agli interrogativi sollevati dall’Unione Europea sulla sua gestione dell’emergenza rifiuti aperta da circa un anno e che a tutt’oggi non è affatto chiusa – dice – Infine, il sottosegretario, anziché attaccare gli ambientalisti, spieghi bene che il governo Berlusconi non sta facendo nulla per affrontare nell’unico modo serio il problema rifiuti. Infatti, è solo attraverso la riduzione della massa dei rifiuti e la raccolta differenziata che si può parlare di superamento dell’emergenza».

Ma l’emergenza per il governo si risolve schierando l’esercito che ieri ha anche occupato l’altopiano del Formicoso, in Irpinia. Anche qui inizieranno i «rilievi tecnici», le analisi e sarà istituito un comitato di esperti per verificare la possibilità che il territorio possa ospitare uno «sversatoio» [il terzo dopo quello di Ariano Irpino e Savignano] con una capienza tra gli 800 e i 1000 metri cubi di «tal quale», cioé rifiuto urbano solido indifferenziato. La scena si ripete.
Così dopo mesi di battaglia oggi quindici sindaci dell’Alta Irpinia si sono incatenati davanti a palazzo Chigi in attesa che qualcuno spieghi quale sarà il futuro della loro terra e dei cittadini. «Non protestiamo per la discarica ma per le tre discariche. Non è possibile che si è deciso di realizzare una terza discarica sullo stesso territorio, a poca distanza dalle altre. Berlusconi – dicono i sindaci – ha deciso di fare dell’Alta Irpinia la pattumiera d’Italia».

E oggi un altro sindaco, quello di Marano, Salvatore Perrotta, ha visto ancora una volta negato l’accesso dei suoi tecnici nella ex cava. Perrotta però non si arrende e ha annunciato la sua «contromossa»: nominerà assessori con delega al «No alla discarica» ed alla «Tutela del territorio del Parco delle Colline» i geologi Franco Ortolani e Giovan Battista de Medici «in modo che possano acquisire lo status di rappresentanti istituzionali ed entrare con me nella cava. Se anche così ci negheranno l’accesso vorrà dire che davvero siamo in deficit di democrazia», ha commentato il sindaco.
C’è già fermento per l’assemblea di questa sera al Presidio di Chaiano. L’appuntamento è intorno alle 18 alla Rotonda Titanic.

E domani Berlusconi ritorna a Napoli. Sarà lui a pronunciare il nome dell’azienda che gestirà l’inceneritore di Acerra (anch’essa militarizzata), in costruzione da Impregilo che assicura la fine dei lavori per marzo prossimo. Sarà la francese Veolia o la bresciana A2a?


Tratto da:
Un arresto a Chiaiano. Domani Berlusconi a Napoli di Eleonora Formisani
su Carta
, 30 Settembre 2008



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